inverno
1982, Armelle
era magra,sottile come un foglio di carta, fuori, a Parigi, il
freddo era già arrivato e i riscaldamenti a carbone erano accesi
già da tempo. Mi era parso strano di trovare les
charboniers a Parigi,
ville lumière già
modernissima e protesa verso un futuro tecnologico,eppure in quel
palazzo d’inizio secolo c’era ancora una caldaia a carbone,
vedevo arrivare due volte a settimana il camion con due uomini che
scaricavano i grossi sacchi di carbone. I due erano tarchiati, curvi,
consapevoli di aver perso la partita della vita, erano bianchi ma
erano neri.
Due
ombre.
Quando
Armelle
arrivava in studio, tutta insciarpata e infilata come una baguette
in quel cappotto scuro, non si intravvedevano le sue ossa che
uscivano invece a diverse latitudini del suo corpo quando era nuda.
La sua andatura traballava dolcemente,come i suoi vent’anni,
accompagnando un sorriso complice e rassicurante, bonjour
Masimò mi diceva.
Lasciava
cadere i suoi vestiti sulla maquette
blu del mio studio senza preoccuparsi di piegarli né di
ordinarli,
studiava ancora e la seduta di posa non era altro che una pausa nella
sua giornata .Una necessità per potersi pagare il suo petit
studiò e i libri.
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